Requiem Mozart - Coro Città di Como

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REQUIEM IN RE MIN. K 626
L’affascinante storia della composizione del Requiem
Ai primi di luglio 1791 Mozart - in una pausa della creazione della “Zauberflöte” K 620 - si reca a Baden per riaccompagnare a Vienna la moglie Costanze in attesa dell’ultimo figlio (ricordiamo che l’ultimo addio a Baden fu benedetto dal celestiale Ave verum” K 618); non appena in città, negli stessi giorni che vedono la nascita di Franza Xaver Wolfgang (1791 - 1844) a Mozart perviene un incarico inatteso e destinato a trasformarsi - per via di misteriose combinazioni e di accattivanti risvolti “ romantici” - in una delle più note leggende della sua vita.
  
Gli elementi: uno sconosciuto vestito di grigio che compare alla porta, una lettera contenente la commissione di una messa funebre, la richiesta perentoria di non indagare sull’identità dell’anonimo committente. I foschi presentimenti di morte - così commenta Paumgartner - che da mesi si affollavano nella fantasia sovreccitata di Mozart presero forma concreta nell’idea che gli fosse apparso un messaggero dell’aldilà per commissionargli la propria” messa da Requiem’. Questa l’origine dell’ultima grande pagina di Mozart e del “delirio” che insidiò la tempra ormai infragilita del compositore perseguitandolo, in un angosciante crescendo, sino alla fine dei suoi giorni.
 
La verità, scoperta dopo la morte di Mozart, risultò ben più semplice e prosaica. L’ “inquietante messaggero” non era che un banale intermediario, certo A. Leitgeb, presentatosi a Mozart per conto di un amico, il nobile viennese conte Franz von Walsegg che intendeva nascondersi nell’anonimato. Appassionato musicofilo e compositore dilettante, Walsegg voleva infatti procurarsi una messa funebre da dedicare alla memoria della consorte (scomparsa in giovane età): l’intenzione era di farla eseguire nel proprio castello, dalla propria orchestra (composta da familiari, impiegati e servitori!), presentandola per giunta come opera sua. Pare che il conte fosse solito accaparrarsi musica e complicità attraverso editori e compositori che in cambio di un lauto guadagno accettavano di avvolgere nel silenzio la loro firma; anche nel caso del “Requiem” il sedicente compositore lo ricopiò di suo pugno con la scritta “Composto dal conte Walsegg e lo diresse personalmente, il 14 dicembre 1793, nella parrocchia di Wiener Neustad.
Verosimilmente Mozart iniziò la stesura del “Requiem” già in agosto ma dovette accantonare il lavoro quando si aggiunse l’ordinazione de “La Clemenza di Tito’ K 621; si ricorda che verso la metà di agosto, accompagnato da Costanze e dall’allievo Süssmayer, Mozart si recò infatti a Praga per l’allestimento dell’opera.
A metà settembre, mentre Costanze riprese per l’ennesima volta la via di Baden per le cure termali, Mozart fece ritorno a Vienna; dopo la creazione del Concerto per clarinetto K 622 per l’amico Stadler e dopo la rappresentazione della “Zauberflòte’, sebbene minato dal male e perseguitato da sempre più “cupi pensieri”, si dedicò senza tregua alla costruzione del “Requiem’. Favorito da un passeggero miglioramento, Mozart riuscì a trovare la forza di dirigere la “piccola Cantata massonica” K 623 nella Loggia cui apparteneva; poi peggiorò e dal 20 novembre fu costretto al letto. Ossessionato, non tanto dall’idea assoluta della morte, quanto dalla crudeltà di una morte annunciata e ‘procurata’ (così Mozart temeva nei suoi vaneggiamenti), l’autore continuò affannosamente a lavorare al “suo” Requiem, assistito dal fedele allievo F. Süssmayer; secondo le testimonianze di Costanze, degli amici, degli allievi che gli erano accanto, la partitura lo accompagnò sino alle ultimissime ore terrene (al punto che Mary e Vincent Novello, tra i primi biografi di Mozart, descrivono la morte di Mozart con la suggestiva immagine: ‘The pen dropped from his hand”).
Dopo la scomparsa di Mozart, Costanze, preoccupata che il committente potesse rifiutare un’opera incompleta, ebbe l’idea di interpellare i. Ebler, musicista molto stimato da Mozart, per affidargli il completamento della partitura. Mentre Ebler (dinanzi alle prime battute del “Lacrimosa”) rinunciò all’insidiosa impresa, l’offerta fu accettata da Süssmayer, forse l’unico che, data la vicinanza con il Maestro, poteva avere un’idea dell’architettura dell’opera. Ecco la situazione della partitura al momento della scomparsa di Mozart: i primi due brani (“Introitus” e “Kyrie’) erano completati; i sei episodi della Sequenza erano completi nelle parti vocali, mentre le parti strumentali erano solamente abbozzate;

il “Lacrimosa si interrompeva all’ottava battuta (precisamente alle parole: Qua resurgiet ex favilla, judicandus homo reus); i brani “Domine Jesu Christe e Hostias” presentavano una traccia generale; del tutto assenti il Sanctus, il Benedictus e I’Agnus Dei. Per prima cosa Süssmayer ricopiò il manoscritto, per nascondere i segni delle contaminazioni; integrò quindi con devota umiltà le parti incomplete e le compose infine, fedele agli appunti e alle indicazioni lasciate dal Maestro, gli episodi mancanti. Il primo, e unico, assillo di Costanze fu che il “Requiem fosse ritenuto integralmente autentico (ancora nel 1796 essa infatti dichiarò al musicologo Rochlitz che il consorte aveva completamente terminato la partitura prima di morire); ma già nel 1792, quando il barone van Swieten (attenendosi a una copia rimasta in possesso di Costanze) fece eseguire la Messa funebre nella sala Jahn di Vienna, tutti i partecipanti conoscevano con precisione le parti originali di Mozart e le integrazioni di Süssmayer; per di più l’allievo chiarì definitivamente la situazione nella lettera dell’ 8 febbraio 1800 agli editori Breitkopf & Härtel.


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